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09/09/14

Archeoastronomia: da Giza all'Isola di Pasqua



A chiunque, prima o poi, capita di porsi questa domanda: ma che accidenti è l’archeoastronomia? Per provare a rispondere, e quindi dare un senso a questo spazio virtuale cominceremo con la breve recensione di un libro che, si spera, ci porterà a una risposta. Il libro è Archeoastronomia: da Giza all’Isola di Pasqua e a provare a darci la risposta è Giulio Magli, professore ordinario presso il Politecnico di Milano. E cosa troviamo tra i suoi insegnamenti? L’unico corso di archeoastronomia istituito in una università italiana. Ormai certi di aver trovato la persona giusta, proseguiamo nella lettura.
L’archeoastronomia, nome bruttissimo a detta dell’autore, è la scienza delle pietre e delle stelle. Ma cosa significa esattamente? Pare di capire, leggendo il libro, che più precisamente l’archeoastronomia sia la scienza che studia come le antiche popolazioni si interessassero alle faccende astronomiche e come, all’interno delle loro attività sociali, artistiche e culturali venisse espresso questo interessamento.
Data una definizione la faccenda sembra diventare più semplice, cosa ne potevano sapere dei poveri primitivi di astronomia? Niente, a sentire la vecchia scuola archeologica; l’archeostronomia quindi sembrerebbe una scienza che ha straordinariamente poco da dire. Così non è se Magli è riuscito a parlarne per 379 pagine suddivise in diciannove capitoli e due appendici fornendoci una sorta di “manuale” ricco di nozioni e informazioni.
La prima parte del libro ci porta in giro per il mondo, mostrando al lettore come praticamente ovunque si ritrovino orientamenti archeoastronomici. Si parte con i monumenti megalitici bretoni, irlandesi e britannici, essi vengono descritti con cura fino a giungere al non plus ultra del megalitisimo, ovvero l’arcinoto e arcistudiato sito megalitico di Stonehenge. Esso è anche il primo monumento di cui, nel libro, ci viene detto accada qualcosa di “strano.” Certo, non “strano” nel senso in cui lo intendeva Peter Kolosimo (che in Non è Terrestre descriveva apparizioni, visioni, luci e ogni genere di fenomeno in una notte a Stonehenge) ma in questo senso: nei giorni prossimi al solstizio d’estate il sole sorge in linea con l’asse dell’edificio, per poi filtrare verso il centro. Anche se l’allineamento non è molto preciso, e certo il complesso aveva molte altre funzioni, il fatto è significativo. Nel proseguo inoltre vengono narrate molte altre di questi allineamenti, come nel caso di Newgrange. Trattando dei megaliti, però, viene narrata anche l’opera di quelli che a buon diritto dovrebbero essere considerati i padri fondatori di questa nuova scienza: Norman Lockyear, Gerald Hawkins e Alexander Thom. Che vengono descritti come il precursore, il pioniere e il sistematore teorico dell’archeoastronomia, e lavoravano in un ambiente in cui i costruttori dei megaliti venivano considerati dei primitivi ignoranti e incapaci della benché minima considerazione astronomica.
Si prosegue poi passando da Malta e per l’Egitto, il capitolo dedicato a questa civiltà si apre con un’affermazione di Neugebauer: “una civiltà che non avrebbe diritto ad alcuno spazio nella storia dell’astronomia matematica.” Affermazione, ovviamente, smentita con puntualità di dati.
Il giro del mondo prosegue: passiamo in America, dove fra le altre si analizzano le civiltà Inca, Maya e Anasazi. Per poi concludere questa prima parte del libro con l’Isola di Pasqua: qui, ovviamente, si parla dei Moai, le enigmatiche statue disseminate sull’isola. Che cosa sono i Moai? L’autore non propone una spiegazione definitiva, ma fa notare due particolari veramente importanti: tutti i Moai sono disposti sulla costa, ma guardano verso l’entroterra dell’isola. E che cosa c’è nell’entroterra? Un vulcano, detto Rano Raraku, che guarda caso ha lo stesso profilo dei Moai. Il vero enigma dell’Isola di Pasqua è come i polinesiani l’abbiano scoperta, pare tuttavia dai racconti etnografici che i polinesiano avessero una strabiliante abilità di navigatori, in particolare di notte, orientandosi con le stelle.
La seconda parte del libro è quasi una monografia dedicata all’Egitto e a quello che l’autore definisce un paesaggio sacro: il complesso di Giza. Questa parte del libro è veramente bella, ben documentata e studiata: qui troviamo una disamina sui vari tipi di piramidi: dalle prime piramidi a gradoni sino a quelle di Giza, una proposta di diversa datazione della piramide di Chefren e della Sfinge. Per quanto riguarda Chefren rimandiamo al libro, mentre per la Sfinge la querelle è nota: la sfinge riporta tracce di erosione dovuta all’acqua. Accettato questo fatto, la datazione alla IV dinastia diventa inaccettabile. Diventa difficilmente percorribile anche l’idea di una retrodatazione al 5000 a.C. L’ipotesi che, per così dire, salva capra e cavoli è del geologo Colin Reader: egli suppone che la Sfinge sia antecedente alle piramidi solo di qualche secolo. Tuttavia prima dello scavo per estrarre il materiale per costruire le piramidi, le morfologia della piana causava lo scolo delle acque piovane nel recinto della Sfinge.
Il punto fondamentale di questo libro è rispettare per capire. E’ impossibile capire le motivazioni di uomini che spostavano massi dal peso di tonnellate, se li si ritiene dei selvaggi. E’ impossibile capire la civiltà egiziana se si parte dal preconcetto che non sapessero nulla di astronomia. Forse è anche impossibile ottenere le risposte giuste, ma sarebbe già un grandissimo risultato porci le domande giuste.
E con questo, consideriamo dato ufficialmente il via a questo esperimento.

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