Fra
i numerosi misteri geografici della storia antica, quello di Tartesso occupa un posto
particolare. Una rapida ricerca in rete fornisce un numero abnorme di
risultati, che vanno da risultati più seri, ad Atlantide a risultati assai poco
credibili. Ma cos’era dunque Tartesso? Si trattava di una apparentemente mitica
città citata nei versi di una manciata di autori, che ora andremo ad accennare:
Erodoto cita Tartesso tre volte:
-La
prima volta, viene citata solo per dire che in Libia esistono donnole molte
simili a quelle presenti a Tartesso.
-Ben
più corposa è la citazione nel Libro IV (dal v. 150) in cui si racconta questa
storia: I Sami sono in viaggio verso l’Egitto, sospinti dalle correnti varcano,
loro malgrado, le Colonne d’Ercole e giungono a Tartesso, fino ad allora
sconosciuta, facendo grandi affari. Notiamo qui di sfuggita che questo passo di
Erodoto è l’unico che consente di collocare geograficamente Tartesso in Spagna,
sulla costa oceanica oltre Gibilterra.
-Nel
I Libro viene raccontata la storia del popolo di Focea. La città viene
assediata da Arpago, militare persiano. I Focei da tempo coltivavano una grande
amicizia con Argantonio, re di Tartesso, il quale offre loro la possibilità di
trasferirsi all’interno del suo regno. I Focei rifiutano cortesemente la
proposta, ottenendo tuttavia cospicui aiuti economici che però non bastano a
vincere la guerra. Sconfitti da Arpago, riescono a fuggire e a fondare una
colonia in Corsica quando Argantonio era già morto. Da questi versi, qualcuno
ritiene di poter dedurre che la Corsica facesse parte dei domini di Tartesso,
tuttavia il testo non è chiaro in questo senso.
Strabone nella Geografia cita Tartesso solo di sfuggita, e solo per dire che Omero non aveva mai citato Tartesso nei
suoi poemi perché, evidentemente, confondeva Tartesso con il Tartaro. Tartesso
centra anche con i miti di Ercole, il quale secondo Appolodoro, vi passò prima di arrivare da Gerione; e nel mito di
Perseo, in quanto Tartesso doveva essere la sede delle Gorgoni. Avieno, in Ora Marittina, cita Tartesso, ma non come città e solo come fiume. Ora Marittima è una lettura molto
interessante: composta nel IV secolo d. C. da Rufo Festo Avieno tratta di un
viaggio avvenuto, a detta dell’autore, nel V secolo a. C. Il materiale di
origine, la fonte da cui trasse la sua opera Avieno sarebbe dunque antichissima.
Ed è forse per questo che Avieno è sempre stato giudicato un rimbambito dalle
fonti successive: lui spergiura di raccontare di un viaggio avvenuto all’interno
del Mediterraneo che, a detta della critica, sarebbe in realtà avvenuto nell’Oceano
Atlantico.
Vediamo
cosa dice lo stesso Avieno:
"Dopo aver attraversato il lago
Ligustino, il fiume Tartesso, nel punto in cui getta le sue acque in quelle del
mare aperto, abbraccia da ogni parte un'isola. Esso non scorre in un alveo
semplice, non è unico il letto con cui solca la terra: tre sono i bracci che
spinge nei campi ..."
(L.
Antonelli, il periplo nascosto, p. 129)
Ribadiamo
dunque, come nell’opera di Avieno o meglio: nelle sue antichissime fonti, non
ci sia traccia di una “città” ma semplicemente di un fiume con funzione.
Tartesso,
infine, sembra inoltre essere citata nella Bibbia, se si accetta
l’interpretazione secondo cui Tartesso sarebbe la Tharsis citata nell’Antico
testamento.
A
Tartesso sono riconducibili le seguenti caratteristiche: era una città ricca
economicamente, forte politicamente e collocata all’estremo occidente.
Questo
è, più o meno, tutto ciò che dalle fonti si può ricavare su Tartesso. Ed è
notevole come da queste scarne informazioni si siano elaborate teorie sull’Impero
di Tartesso, sulla lingua di Tartesso, sulla localizzazione geografica precisa
di dove dovesse essere Tartesso. Manca ancora il ritrovamento della città, ma
quello è un dettaglio.
Dunque,
l’ipotesi della Tartesso spagnola è sostenuta dall’unica affermazione di
Erodoto secondo cui si trovasse oltre le Colonne d’Ercole. Su questo passaggio
si innesta la tesi di Sergio Frau,
giornalista italiano che nel 2002 diede alle stampe il suo libro Le colonne d’Ercole: Un’inchiesta. La
tesi proposta è allo stesso tempo semplice e rivoluzionaria: l’identificazione
fra le Colonne d’Ercole e Gibilterra sarebbe una “svista” ellenistica, dovuta
all’improvviso aprirsi dei confini dopo le conquista di Alessandro Magno da un
lato e l’ascesa di Roma dall’altro. Nelle attestazioni più antiche, il confine
delle Colonne sarebbe da intendersi nello stretto di Sicilia. Le prove portate
a sostegno di questa teoria sono diverse, ma due sono abbastanza interessanti.
La prova geomorfologica (stirando un po’ questo termine) è così esposta: gli
antichi hanno sempre descritto le Colonne d’Ercole come una zona di acque basse
e stagne, addirittura fangosa e di secca. Si veda a proposito Platone, il Timeo e Crizia attribuiscono
la fangosità dello stretto all’inabissamento di Atlantide. Aristotele riprenderà il concetto nei Metereologica, mostrando di non credere in Atlantide ma confermando
con le terre al di là delle Colonne d’Ercole siano prive di vento e
caratterizzate da bassi fondali. Sappiamo che le acque nei pressi di Gibilterra
hanno una profondità di circa 250 m, ma potremmo attribuire questi errore a una
semplice ignoranza dei due autori, o a una licenza poetica (comprensibile forse
nel caso di Platone, ma inconcepibile per Aristotele).
La
seconda prova portata da Frau è addirittura geopolitica: la disposizione nel
Mediterraneo delle colonie greche e fenice non è casuale, ma sembra
rispecchiare una precisa spartizione di zone di influenza: l’Occidente ai
fenici, tranne le coste francesi, e l’Oriente ai greci. A far da frontiera l’Italia
Come se ci trovassimo in presenza di una sorta di cortina di ferro dell’antichità
che faceva perno sullo stretto di Sicilia.
Se
Frau ha ragione, come può aiutarci questa ipotesi a ritrovare Tartesso?
Dobbiamo semplicemente cercare una terra ricca di minerali preziosi poco al di
là delle (antiche) Colonne d’Ercole. Non c’è bisogno di cercare molto: abbiamo
infatti la Sardegna. Ed ecco che qui, in Sardegna, troviamo l’unica
testimonianza scritta dell’esistenza di una qualche Tartesso: la stele di Nora.
Essa è un blocco di arenaria, ritrovato nel 1773 in un muretto a secco nei
pressi di Nora. La stele ebbe un notevole impatto in antichistica perché conteneva
la parola BTRSS, interpretata come a Tarshish, ovvero a Tartesso. Da qui si
sono succedute diverse ipotesi, Santo
Mazzarino riteneva che di Tartesso dunque ce ne fossero due: la madrepatria
spagnola (di cui non si è trovata alcuna traccia) e la sua colonia sarda, Nora.
Recenti interpretazioni tuttavia tendono a interpretare la stele come il
racconto di esperienze militari a Tartesso e in Sardegna.
Cosa
possiamo dire della teoria di Frau? Chiunque legga il suo libro resterà
stupito, oltre che dallo stile poco convenzionale, dalla quantità, e dalla
qualità, di prove portate a dimostrare la tesi sulle colonne d’Ercole. Tesi che
merita un’approfondita analisi e che tuttavia porta a spiegare molte più cose
di quante ne lasci in sospeso. Per Tartesso, tuttavia, ci troviamo di fronte a
un ostacolo: né la toponomastica sarda né la toponomastica spagnola, pur essendo
assai antiche, sembrano portare traccia di quell’antica Tartesso che, da
qualche parte, avrebbe pur dovuto esserci.
Vediamo
cosa dice Luca Antonelli (autore di
diverse opere, tra cui un commento ad Avieno)
"Le testimonianze su Tarshish, al di là di ogni moderno tentativo di identificazione puntale, sembrano contenere un'allusione generica: quella con cui il mondo semita faceva riferimento alle estreme regioni occidentali, meta dei primi traffici commerciali fenici"
(L. Antonelli, I Greci oltre Gibilterra, p. 21)Aggiungiamo una riflessione che troviamo nell’opera di Robert Graves, La Dea Bianca (pag. 426), egli ci suggerisce che tar è una parola egea che indicava il sole morente, quindi Tartesso indicava una città a occidente, oppure semplicemente un luogo, o un fiume come fa Avieno. Mentre il Tartaro, da Omero confuso con Tartesso (sempre secondo Strabone), con il suo raddoppio Tartaro indicherebbe l’estremo occidente ignoto che per i greci sembra essere collegato alla terra dei morti; è bene tuttavia specificare che la terra dei morti non è intesa solo in senso negativo: il fosco Tartaro, l’Ade e il luogo della punizione eterna erano a occidente, ma a occidente erano anche le isole Fortunate e le terre destinate ad accogliere le anime degli eroi. Aggiungiamo una banalissima considerazione: nella Genesi, dopo il peccato originale, Dio caccia Adamo ed Eva e pone i Cherubini a custodirlo a Oriente, Ciò significa che l’eden si trovava a Occidente, anche se non ci è dato sapere a occidente di cosa.
Dobbiamo
quindi assegnare Tartesso al mito e considerarlo come un toponimo adeguatosi,
di volta in volta, a un generico occidente?
No,
sappiamo che si trattò di un territorio, con un fiume. Un territorio posto a
Occidente su cui sorse una ricca e potente città, capitale di un regno la cui
fama e la cui ricchezza giunse fino in Grecia. Abbiamo una cartina muta con
riferimenti abbastanza precisi, il problema è che ci manca un punto di partenza
per capire dove collocare questa carta.
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