Il
problema che qui iniziamo ad affrontare è, ormai, annoso. Gli antichi
conoscevano la precessione degli equinozi? E’ una questione che alle volte si
sovrappone al dibattito archeoastronomico, per cui si confonde la conoscenza
della precessione con la conoscenza dell’astronomia. Iniziamo perciò a
sbrogliare l’argomento con una descrizione del fenomeno e, di seguito, una
rapida analisi delle evidenze storiche.
Cos’è la precessione degli equinozi? La
Terra ruota sul proprio asse in un giorno. L’asse di rotazione è inclinato di
23°27’ rispetto al piano lungo cui avviene la rivoluzione attorno al sole; a
sua volta l’asse stesso ruota, esattamente come una trottola, con un movimento
detto precessione. Questo movimento ha due effetti particolari: la stella
polare varia nel tempo e i punti equinoziali e solstiziali si spostano nel
tempo.
Definiamo
ora cosa sia una stella polare: essa è quella stella che, trovandosi
sull’ideale prolungamento verso nord dell’asse terrestre è utile a individuare
la direzione del nord geografico. La stella polare odierna è α Ursae Minoris, facente parte della
costellazione dell’Orsa Minore (o anche Piccolo Carro) mentre sarà Vega fra circa tredicimila (e lo era tredicimila anni fa).
Passiamo
ora agli equinozi; per un osservatore a terra essi sono le giornate in cui
notte e dì si equivalgono. I solstizi al contrario sono le giornate con la
notte più lunga, solstizio d’inverno, e il dì più lungo, solstizio d’estate.
Dal
punto di vista astronomico invece gli equinozi sono i punti di intersezione fra
equatore celeste ed eclittica, ovvero il piano lungo il quale avviene il moto
apparente del sole. Poiché ruota l’asse terrestre, ruota anche l’equatore e
perciò nel tempo si spostano gli equinozi con un moto che, anno dopo anno,
porta ad anticiparne il momento. Da qui il nome del fenomeno: precessione degli equinozi, schematizzato nella figura seguente.
Figura: La precessione degli equinozi
Gli antichi conoscevano questo fenomeno? La precessione è stata
ipotizzata da Ipparco, o meglio: Tolomeo ci dice che il primo a ipotizzarla fu
Ipparco il quale, ci dice sempre Tolomeo, la interpretava come un lento
movimento delle sfere fisse.
Ci sono alcune evidenze che vanno
però considerate. La prima cosa da
considerare è l’osservazione diretta. Come sappiamo, alcune antiche civiltà
avevano un interesse notevole per le stelle e i loro movimenti. Babilonesi,
Egiziani e Indiani osservarono le stelle per periodi molto lunghi (migliaia di
anni) che, a seconda della precisione delle osservazioni, avrebbero potuto portare
a individuare il movimento di precessione. Da questo punto di vista, tuttavia,
non ci sono prove scritte a smentire o a confermare la tesi.
Una seconda via di ricerca è quella delle antiche costruzioni:
alcuni monumenti antichi erano orientati in modi astronomicamente precisi. Principalmente
l’orientamento principe era quello che indicava i solstizi e gli equinozi;
qualche monumento tuttavia era orientato concordemente con alcune stelle. Ecco
dunque che, su un lungo periodo di tempo, alcuni monumenti, nel contesto di una
stessa civiltà, perdevano i loro allineamenti. Facendo nascere, immaginiamo,
dei dubbi fra gli astronomi del tempo.
E’ mai successo qualcosa del genere? Forse sì. Portiamo qui due
esempi, entrambi descritti da Giulio Magli, in Archeoastronomia: da Giza all’Isola di Pasqua. Andiamo a Malta, l’asse
centrale del tempio Ggantija I fu orientato probabilmente sul gruppo di stelle
Croce-Centauro. Dopo un certo tempo
venne costruito un tempio del tutto simile, ma con un asse leggermente spostato
più a sud. Lo spostamento è concorde con il movimento precessionale. E’
vero che si tratta di una supposizione, ma è già difficile immaginare che i
costruttori del complesso abbiano edificato un primo tempio, casualmente orientato
vero un certo gruppo di stelle; molto più arduo è immaginare che dopo un certo
numero di secoli abbiano ricostruito un tempio simile, cambiandone l’orientamento
e, casualmente, ritrovando come direzione lo stesso gruppo di stelle.
Il secondo caso è quello del
tempio di Luxor, edificato in riva al Nilo e costruito in forte collegamento con il
tempio di Karnak. Ora, l’asse principale del tempio di Karnak è stato mantenuto
in tutti i successivi ampiamenti; l’asse principale del tempio di Luxor invece è stato
modificato ben quattro volte. Sembra che l’unica spiegazione sensata sia l’affannosa
ricerca di un continuo allineamento con un fenomeno astronomico. Tuttavia, ammettiamo
piuttosto mestamente, nessuno ha ancora individuato quale fosse.
Passiamo ora alla terza via e ultima nella nostra breve disamina.
La presenza della precessione nella mitologia antica. Benché possa sembrare
impresa ben strana, l’intero libro di De Santillana e Von Dechend, Il
Mulino di Amleto, suffraga questa tesi. Si tratta di un libro
indubbiamente complesso, scritto da autori dotati di una cultura mostruosa
(nonché invidiabile) che avanza la seguente tesi: gli antichi conoscevano la
precessione degli equinozi, e la conoscevano talmente bene da impregnare tutta
la loro mitologia con queste nozioni. Non solo: non si trattava di una mera
constatazione fisica, come lo è per i moderni, era invece una conoscenza degna
di significato cosmologico. Non si farà qui una recensione del libro. Sarebbe
un’impresa ardua, è un’opera talmente densa di informazioni e, inoltre, non si
limita a presentare una semplice tesi ma una
nuova visione del mondo antico. Resta tuttavia è un’utile guida per
chiunque decida di intraprendere questa via. Il libro parte dal simbolo del
mulino, presente in molte mitologie e che, in gran parte dei casi, appare come
un mulino sfasciato, fuori asse. Simbolo
di un mondo in cui i cieli non sono fermi, ma in un movimento sballato, che
porta le stelle in posti dove non dovrebbero essere. Il mito di Fetonte viene
presentato come un grande mito cosmologico che rappresenta proprio la
precessione degli equinozi che, come Fetonte, abbatte alcune stelle, che
spariscono per sempre (o, più precisamente, per ventiseimila anni) sotto la
linea dell’orizzonte, e ne eleva altre che invece risalgono. Vediamo un esempio
più recente: Virgilio nei versi 6-7 della IV ecloga delle Bucoliche dice:
Iam redit et Virgo, redeunt Saturnia regna,
iam nova progenies caelo demittur alto.
Questi versi portarono in dote a
Virgilio il titolo di profeta dell’avvento di Cristo. Ritorna la Vergine, ma
dov’era andata? E soprattutto, chi era? Per la seconda domanda la risposta è
unanime fra i commentatori: si tratta di Astrea, la vergine simbolo di
giustizia già citata precedentemente che, ultima fra gli immortali, lasciò la
terra abbandonando gli uomini. Dov’era andata Astrea? Ce lo dice Arato nel suo
poema astronomico, egli ci dice che la Vergine si era ritirata sulle colline.
Il cerchio comincia a chiudersi se aggiungiamo che la costellazione della Vergine
è identificabile proprio con Astrea. Per il fenomeno della precessione degli
equinozi ai tempi di Viriglio la costellazione della Vergine stava per prendere
possesso dell’equinozio di primavera, mentre la costellazione dei Pesci si
apprestava a reggere l’equinozio di primavera, riportando l’età dell’oro.
Virgilio a questo punto non doveva essere del tutto ignaro degli effetti della
precessione.
In conclusione possiamo dire che non è chiaro quanto ne sapessero
gli antichi, ma è quasi certo che avessero intuito qualcosa: che le stelle dopo
un po’ di tempo si spostassero dovevano averlo capito, ma se fossero riusciti a
dare un senso al fenomeno non è chiaro. Prova, secondo Santillana e Von
Dechend, ne è la costante immagine di un mondo sbiellato, ovvero il mulino spezzato. Ma, ammesso che gli antichi
lo avessero compreso in via qualitativa, che avessero capito in via
quantitativa il movimento della precessione resta tutto da dimostrare.
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